La riforma fallimentare, l’adeguatezza dell’ assetto organizzativo e gli organi di controllo nelle srl: una riforma (in parte) disinnescata?

Il decreto sulla crisi di impresa aveva, nella versione orignale, abbassato significativamente i limiti previsti per le Srl per la nomina del sindaco unico o del revisore legale.

I limiti inizialmente previsti sono raddoppiati e l’obbligo di revisione legale nelle srl scatta quando, per due esercizi consecutivi, la società ha superato uno dei seguenti 3 limiti:

  • attività superiori a 4 milioni di euro
  • ricavi superiori a 4 milioni di euro
  • dipendenti superiori a 20

La riforma della crisi di impresa ha avuto, in origine, come principio ispiratore (è bene non dimenticarlo) l’emersione anticipata dello stato di crisi al fine di evitare il fallimento di imprese in avanzato stato di decozione con soddisfazione nulla o quasi dei creditori. Questo è l’aspetto più innovativo della riforma, oltre naturalmente ad una sentita esigenza di riordino di un impianto normativo nato nel 2006 e successivamente modificato. Il nuovo Codice sottolinea l’importanza della prevenzione(ed in questo senso pone al centro dell’attenzione l’adeguatezza dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile) e della diagnosi precoce, cioè il rafforzamento dei sistemi di controllo e di allerta (indici), per intervenire tempestivamente prima che la situazione economica e finanziaria si deteriori in maniera irreversibile.

L’art. 13 della riforma qualifica come indicatori di crisigli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi e ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24 che garantisce le misure premiali solo in caso di tempestività dell’iniziativa del debitore volta a prevenire l’aggravarsi della situazione di crisi.

 La crisi d’azienda può essere il risultato di molti fattori, interni ed esterni specifici per ogni azienda, e può essere sostanzialmente ricondotta a due principali categorie:

  • crisi economica;
  • crisi finanziaria patrimoniale.

La crisi economica nasce dall’erosione della redditività aziendale e in particolare sorge dalla progressiva erosione dei margini reddituali (Mol, Ebitda, Ebit, …) che determinano perdite che erodono progressivamente il patrimonio netto.

La crisi finanziaria-patrimoniale può sorgere anche, ma non esclusivamente, nel caso in cui si appalesa la crisi economica. Infatti una società, pur presentando un equilibrio economico, potrebbe evidenziare una difficoltà finanziaria-patrimoniale sorta, anche o solamente, a seguito di alcune delle seguenti cause:

  • squilibrio della struttura delle fonti di finanziamento rispetto agli impieghi (investimenti);
  • sproporzione tra capitale proprio e mezzi di terzi;
  • eccessivo indebitamento rispetto alla capacità della società di generare flussi di cassa positivi (i flussi di cassa in uscita per il rimborso dei debiti risultano essere superiori ai flussi di cassa in entrata);
  • transazioni (commerciali o finanziarie) con parti correlate “anti-economiche” o finanziariamente non congrue.

Il codice della crisi di impresa attribuisce grandissima rilevanza agli indicatori di crisi aziendale(squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario) con eventuale obbligo di segnalazione ed attivazione delle procedure di allerta. Da qui nasce l’esigenza per amministratori di comprendere la struttura patrimoniale e finanziaria dell’impresa e dotarsi di un idoneo ‘cruscotto di controllo’ in grado di monitorare tutti gli indicatori, garantendo la tempestività delle eventuali segnalazioni e le conseguenti misure premiali altrimenti negate.

Ma tutto questo si scontra con alcune caratteristiche intrinseche del tessuto imprenditoriale italiano:

  1. Le piccole e medie imprese italiane presentano certamente un forte sistema di controllo interno esercitato dal proprietario amministratore, ma tale controllo non è formalizzato né documentato. Inoltre la separazione delle funzioni è estremamente limitata sia per il limitato numero di addetti che per il forte spirito di accentramento delle informazioni e del processo decisionale, tipico del proprietario amministratore della piccola media impresa italiana.
  2. Le piccole e piccolissime imprese italiane sono caratterizzate da una “governance” a carattere familiare e l’imprenditore, non dovendo rendere conto ad un azionariato diffuso, non percepisce facilmente la necessità di investire in sistemi di controllo interno codificati e documentati affinché possano essere esaminati e controllati da terzi. Nella sostanza: molte piccole e piccolissime imprese tendono a minimizzare il più possibile qualunque onere di carattere amministrativo, inclusi quelli derivanti da un adeguato sistema di controllo interno, considerandoli oneri superflui che sottraggono importanti risorse all’attività aziendale ed in particolare alle attività di produzione e vendita.

Da qui l’esigenza di rafforzare l’efficacia della riforma ed il raggiungimento degli obiettivi fissati affiancando all’amministratore (culturalmente ‘resistente’ a questo tipo di impostazione) un organo di controllo…stimolo e monitoraggio. Questo è ciò che secondo noi è il vero ruolo dell’organo di controllo nell’ambito della riforma…essere di sostegno (con grandi responsabilità) all’implementazione della vera rivoluzione culturale di questa norma ossia DOTARE LE IMPRESE (tutte le imprese) DI UN MODERNO ED ADEGUATO ASSETTO AMMINISTRATIVO, ORGANIZZATIVO E CONTABILE.

Molto si è detto sui 150.000 incarichi potenziali come se questi potessero essere da un lato  la soluzione di tutti i problemi dei professionisti e dall’altro un onere ‘insopportabile’ per le imprese. Vedere il dito e non la luna.

Perchè la scelta iniziale di limiti da alcuni ritenuti ‘troppo bassi’? La riforma nella sua versione originaria voleva assicurarsi che tutte le Srl, ad eccezione delle micro (ossia quelle con meno di 10 dipendenti, 2 milioni di fatturato o 2 milioni di attivo) affiancassero all’organo amministrativo un organo di controllo (la contropartita della responsabilità limitata dovrebbe in genere essere, anche, la presenza di un organo di controllo esterno che monitori i comportamenti dell’impresa stessa).

Dal rapporto Cerved 2018 risulta che in italia ci siano148.531 PMI. Di queste, 123.495 (meno di 10 ML di fatturato) sono piccole imprese e 25.036 sono medie aziende.

Le PMI rappresentano il 24% delle imprese che hanno depositato un bilancio valido e occupano oltre 4 milioni di addetti. Di questi, 2,2 milioni lavorano in aziende piccole e il restante 1,9 milioni in aziende di medie dimensioni. Le 148 mila PMI hanno prodotto un giro d’affari di 886 miliardi di euro, un valore aggiunto di 212 miliardi (pari al 12,6% del Pil) e contratto debiti finanziari per 223 miliardi di euro. Rispetto al complesso delle società non finanziarie, pesano per il 38% in termini di fatturato, per il 40% in termini di valore aggiunto, per il 29% in termini di debiti finanziari.

Secondo alcuni  l’emendamento proposto e approvato ha il pregio di ridurre i costi per le società (parliamo esclusivamente dei costi relativi alla nomina dell’organo di controllo) ed evitare agli organi di controllo di doversi confrontare con realtà imprenditoriali non pronte (qualcuno addirittura afferma che non potranno mai esserlo) a previsioni di cosi ampia portata e soggette quindi ad immediata segnalazione.

Appare del tutto evidente che ‘dimenticare’ in tutto o in parte queste realtà esponga il sistema al reiterarsi dei problemi che hanno portato il legislatore a definire l’attuale impianto della riforma con ricadute importanti sull’intero sistema economico.

E’ chiaro che in questo contesto per l’organo di controllo l’applicazione dei principi di revisione ISA Italia appare particolarmente onerosa in termini di tempo (e quindi di onorari per le imprese) in quanto la mancanza di un adeguato “ambiente dei controlli” e di un sistema di controllo interno codificato e verificabile costringerebbe l’organo di controllo a riperformare i controlli svolti dalla direzione e svolgere una opera di continua sensibilizzazione circa la necessità di ricevere informazioni adeguate, complete, comprensibili ed attendibili ma questo potenziale problema può essere risolto se il CNDCEC, in collaborazione con il MEF, predisponga dei principi di controllo ad hoc per le piccole e piccolissime imprese che tengano conto delle specifiche caratteristiche di queste imprese in termini di proprietà e di governance.

Nella sostanza i controlli contabili sulle piccole e piccolissime imprese dovrebbero essere basati:

  • Su limitati controlli sulle voci fondamentali e sulle altre informazioni contenute nel bilancio;
  • Su una eventuale certificazione sull’organizzazione del consulente esterno e sui servizi di carattere amministrativo e contabile da questo offertivolto alla validazione a monte di una significativa parte del sistema di controllo interno della società ‘esternalizzato’ presso la società di servizi;
  • Sullo svolgimento di ben identificate procedureal fine di ottemperare agli obblighi di monitoraggio e segnalazione previsti dalla nuova normativa.

Ma, insistiamo, ciò che più conta è la sfida e l’obiettivo alto della riforma: dotare anche le piccole imprese di un assetto organizzativo amministrativo e contabile moderno ed adeguato alle dimensioni dell’impresa.

Il concetto espresso dal legislatore di assetto amministrativo adeguato è universalmente riconosciuto essere essenzialmente basato sul concetto un buon sistema di controllo interno e gestione dei rischi.

Per questo motivo ritengo che le piccole imprese si troveranno nei prossimi mesi ad affrontare una grande sfida, ma che è una grande opportunità per il sistema nel suo complesso: passare da una gestione a carattere familiare ad una basata su un sistema di controllo interno e di valutazione dei rischi moderno.

In questo senso assumeranno sempre maggiore rilevanza due documenti:

  • Il “CoSo framework”, documento elaborato, nella sua versione attuale (2013) dalle più prestigiose associazioni delle professioni contabili americane;
  • Il codice di autodisciplina per le società a controllo familiare non quotate, documento elaborato nel 2017 dall’Associazione delle imprese familiari AIDAF e dalla Università Bocconi.

Se il CoSo report è un documento di carattere più generaleche affronta l’intera tematica del controllo interno e del sistema di gestione dei rischi il Codice di Autodiscipllina è un documento sintetico e praticoche si focalizza in particolare su quella parte del sistema di controllo interno costituito dalla Corporate Governance, argomento spesso molto debole o trascurato nelle piccole imprese a carattere familiare.

Una seria adozione del codice e del CoSo report, garantendo un corretta gestione dei poteri, delle deleghe e dei processi decisionali, potrebbe costituirebbe costituire per molte piccole imprese a carattere familiare:

  • un valido aiuto gli amministratoria dimostrare, ove se necessario di aver adempiuto ai loro doveri circa il corretto assetto amministrativo dell’impresa;
  • un fattore di diminuzione del rischiodi insolvenzae carenza del presupposto di continuità aziendale di cui i controllori dovrebbero considerare e certamente apprezzare.

L’auspicio è che l’attuale indirizzo preso non snaturi eccessivamente (in parte purtroppo il danno è fatto) una riforma nata con un preciso obiettivo, coerente con la frammentazione di un  tessuto imprenditoriale (il nostro)che non è paragonabile con altre realtà economiche europee dove i limiti per l’obbligatorietà degli organi di controllo sono superiori, ma coerenti con le realtà in cui sono calati. La grande sfida per noi professionisti sarà cogliere questa opportunità ed essere da traino a fianco delle imprese per questa grande rivoluzione, necessaria, passando da un tessuto imprenditoriale geniale ma che per buona parte naviga quasi esclusivamente a vista ad uno che affianchi al genio ed alla sensibilità diretta anche i necessari strumenti per potere vedere (e prevedere) ciò che succede oltre l’orizzonte.